Eugenio Borgna: una speranza militante

Eugenio Borgna: una speranza militante

In ricordo di Eugenio Borgna

Di Loretta Zorzi Meneguzzo

 

Eugenio Borgna, nell’ultimo libro pubblicato il novembre scorso, testimonia la potenza sommovente del vivere l’inevitabile ora. Ricordando le parole di Celan, scrive: «l’ora del vivere [che] diviene l’ora del morire», «l’ora che non ha più sorelle». Mostra, così, vivendo l’aura del qui e ora, la forza racchiusa nella persona che resiste e indugia nella soglia, dove fatica, dolore, fragilità, ritrovano le parole dell’interiorità. Negli ultimi decenni ci ha donato la sua personale declinazione incarnata dell’attesa e dell’attenzione, dialogando con le riflessioni di Simone Weil. Parafrasando Minkowski, possiamo evocare l’essenziale azione dell’attenzione che Borgna interpella nelle sue opere, come dimensione che mantiene la freschezza, cerca sempre di nuovo, di penetrare il mistero della vita, senza timore di possibili fallimenti. È l’attenzione che gusta e approssima il mistero, preservandolo, grazie all’attesa che sa rinunciare al soddisfacimento impaziente; che rinuncia alla saturazione feticistica che abbacina e offusca. Egli ci fa comprendere le tessiture di una temporalità personale in cui la qualità dell’attesa dirime nostalgia e speranza. Disvela il cruciale pericolo, sottinteso nella pretesa che tutto debba andare subito bene: il presagio di annientamento della speranza. Riafferma la connessione tra speranza e responsabilità, implicita negli ineffabili movimenti capaci di svincolare il futuro dalle coercizioni e dagli scopi-feticcio. Nel suo pensiero, balugina la possibilità che – agendo su noi stessi – possiamo disarticolare memorie e saperi pratici e teorici, come solo modo di vivere il cambiamento, solo modo necessario di rompere l’assedio senza fine, uscire dalla prigione delle pretese certezze.

 

Eugenio Borgna - L'ora che non ha più sorelle. Sul suicidio femminile

Eugenio Borgna – L’ora che non ha più sorelle. Sul suicidio femminile

 

Nel solco dell’insegnamento della fenomenologia, Borgna sviluppa il «tornare alle cose stesse» del motto husserliano come modo di essere in relazione con il mondo interno ed esterno, percorrendo i labirintici intrecci di soggettivo e oggettivo. Cammino, lungo il quale, la psichiatria fenomenologica prende la forma della «psichiatria dell’interiorità». L’interiorità propria e dell’altro, liberate dalle coercizioni, possono dialogare. Attraverso la narrazione della sua esperienza ‘militante’ ci colpiscono le intricate connessioni tra la coercizione di teorie e approcci diagnostici– demistificata come non necessaria protezione – e, la coercizione dei pazienti nei manicomi. Quest’ultima stigmatizzata come aggressività e aggressione che nega la speranza. Anticipando nella pratica la Riforma Basaglia, fin dai primi anni 60, Borgna attua un modello di psichiatria dove istituzioni e clinici non si sentono minacciati dalla follia.

 

E, le pazienti – del reparto femminile dell’Ospedale Psichiatrico di Novara, di cui fu Direttore – potevano non sentirsi minacciate dalla propria sofferenza. Attraverso prossimità e ascolto dell’altro, le persone potevano lasciarsi avvicinare: potevano esse stesse educarsi all’ascolto e avvicinare la loro alterità sofferente; non dovevano ripudiare le loro vite dolenti. Baluginava la capacità del dialogo tra le interiorità – da Borgna affermato con mite accanimento – di tramutare fragilità e sofferenza in voci di un divenire affrancato, che lascia affiorare significati congelati. In modo coerente, egli rese operante la sua comprensione della follia, contrapponendosi con determinazione a una «psichiatria disumanizzata» aggrappata all’oggettivazione del paziente, ridotto a «mummia senza vita e senz’anima».

 

Nel suo pensiero, «l’ascolto gentile» è manifestazione della profonda integrazione, incarnata, di conoscenza ed esperienza. Il radicamento nel rigore delle competenze è fondamento, base sicura che libera la sensibilità e diviene «intelligenza del cuore». Fulcro di un’attitudine che incardina la possibilità di dare significato e accogliere la propria stessa fragilità, la propria follia. Si tratta di un attraversamento possibile, a condizione che la ricettività soggettiva venga emancipata «dalle grandi costruzioni psichiatriche e filosofiche». Ci accorgiamo, così dello «sfiorarsi di destini»: il destino dell’altro che è anche il nostro destino. Borgna ricorda le parole dello psichiatra tedesco Kurt Schneider che invita a spaventarci quando non abbiamo mai conosciuto angoscia, tristezza, disperazione, non quando ansia, angoscia tristezza nascono in noi. Riconoscere e ammettere l’imperscrutabile inedito, dentro di sé, rende visibili gli insondabili legami radicati nella dignità della persona. Questa possibilità di indugiare nella soglia, dove le sensibilità si sfiorano e possono parlarsi, ascoltarsi, disvela la riflessività (anche della forma verbale) come reciproco ascoltare l’altro e, attraverso l’altro, ascoltare, parlare a, riconoscere sé stesi. L’autentico avere cura dell’intimità in cerca di parole contempla l’ascolto del silenzio, anche come indugio in una lontananza presente: una latenza che custodisce l’interiorità. Essa accoglie un’interiorità che teme intrusioni e sopraffazioni. Qualità che Etti Hillesum ci aiuta a discernere: «c’è in me un silenzio sempre più profondo. Lo lambiscono tante parole che stancano, perché non riescono a dire nulla».

 

L’intransigente sollecitudine, nelle riflessioni di Borgna, si fa argine contro “mani frettolose e maldestre” che potrebbero ferire, ghermire una soggettività più intima. È essenziale che questa dimensione intersoggettiva e intra-soggettiva non mischi o confonda, ma preservi la distinzione delle identità come spazio della riconciliazione tra soggettivo e oggettivo, come luogo del dialogo e della trasformazione possibili. Esso è soglia: spazio dell’indugiare dinamico nel contatto con la molteplicità interpsichica. Richiamando l’importanza delle parole-ponte, Borgna cita complessità e varietà di funzioni e di significati del ponte, nelle riflessioni di Heidegger. Il ponte collega e definisce due rive distinte. Inoltre, come osserva Maria Zambrano, sono necessari gli argini, perché ci sia un fiume e non un pantano. Nella riconciliazione possibile, grazie alla distinzione, si può fondare la «comunità di destino», come conseguimento sovraindividuale che deve riguardare la scelta responsabile di ciascuno; un cammino che scopre e arricchisce consonanze e condivisioni. Come nel dialogo tra Marco Polo e Kublai Kan, il ponte dà rilevanza, identità e consistenza, a ogni pietra e all’arco che tutte le pietre formano. Nella convergenza di comunità e distinzione, può radicarsi la vera solidarietà di fronte a ferite e sofferenze. Essa è varco verso le potenzialità latenti, breccia per accedere all’ordine della grazia, dove si presagisce la speranza.

 

Il modo peculiare di divulgare è, in Borgna, attitudine a mediare tra le discipline, tra autori e lettori, risignificando concetti ed emozioni, anche emancipandoli da etichette sottomesse alle mode e alle istituzioni. Egli riavvicina gli autori, ogni volta immergendosi in un ascolto, più attento a cogliere una parola, un significato ulteriore, una potenzialità in più: una nuova trama, una nuova luce sul nostro difficile cammino nel mondo. Capace di dare voce a ciò che ancora non si è svelato, che dimora latente, come nuova, inattesa, possibilità interpsichica. Argini contro l’illusione delle certezze definitive – da conquistare una volta per tutte – delle pretese insaziabili affollate di rumori che stordiscono, le sue opere sommuovono la dimensione soggettiva che può sollevarsi oltre il momentaneo, oltre la passeggera saturazione istantanea destinata a svaporare. Anche attraverso il dialogo con i poeti, Borgna, rigorosamente, continua a sviluppare la sua visione della fenomenologia.

 

Come nello sprone nietzschiano ad essere ponte, non scopo, le sue opere di saggistica e di divulgazione continueranno a parlarci e a sollecitare in noi l’ascolto che anela a conoscenze più profonde, a parole più intimamente vere. Esse potranno risvegliare il desiderio di dissotterrare il pozzo di una sorprendente intimità e far sgorgare «un’acqua limpida scorta per avventura tra le petraie d’un greto» (Montale).

 

Eugenio Borgna, Borgomanero (Novara) 22 luglio 1930 – Borgomanero (Novara) 4 dicembre 2024.

 

 

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