Gli Argonauti N° 154 – Settembre 2017
Gli argonauti – Rivista di psicoanalisi e Società. Copertina e indice del N° 154, Settembre 2017
Mark Leffert
Il sé e i suoi contesti
William James (1893/2007) ha offerto, forse per la prima volta nella psicologia moderna, una definizione estesa del sé conscio, empirico, come della “somma di tutto quello che [un uomo] PUO’ chiamare suo”. L’autore continua includendo in questo insieme “non solo il suo corpo e le sue funzioni psichiche, ma anche i suoi vestiti e la sua casa, sua moglie e io suoi figli, i suoi antenati e amici, la sua reputazione e il lavoro, la sua terra e cavalli, la sua barca e il conto in banca” . James ha offerto, in modo stupefacente per il periodo, e tutt’ora non così scontato, una definizione post-Cartesiana del sé, la cui essenza è quella di una creatura sociale e fisica, inseparabile dalla sua matrice sociale.
Claudine Vacheret-Vivier
I gruppi a mediazione e il riferimento al modello psicoanalitico
L’articolo analizza le basi epistemologiche dell’utilizzo diffuso di interventi gruppali nella pratica clinica con soggetti il cui funzionamento psichico impedisce o rende molto difficile l’accesso alla cura psicoanalitica classica. In particolare, analizza la specifica utilità dei gruppi a mediazione in cui gruppo e oggetto consentono la tessitura di un immaginario carente o violento. Viene illustrata la metodologia del Photolangage© in cui il lavoro di mediazione, attraverso il duplice riferimento all’immagine e alla domanda, favorisce l’attivazione di un’articolazione, uno spazio di gioco, tra processi primari e secondari. Tale area intermedia facilita altresì la doppia articolazione tra intrapsichico e intersoggettivo. Si ipotizza che il dispositivo gruppale, in particolare attraverso una mediazione, possa permettere di restaurare la gruppalità psichica del soggetto o dei suoi gruppi interni.
Gli errori fecondi di Ferenczi
José Jiménez Avello
Fino alla fine della sua vita Ferenczi, consapevole degli errori commessi nel suo lavoro continuo di ricerca sia teorica sia tecnica, rivendica quegli errori che gli hanno permesso di imparare. Ci avviciniamo così all’autocritica che lo porta a lasciare sia la pratica della “tecnica attiva” sia l’esperimento dell’”analisi reciproca”. Il medico ungherese, affrontando gli aspetti che sorgono dall’utilizzazione di una metodologia epistemologica per prove ed errori e di “dimostrazioni per assurdo”, concettualizza ciò che denomina “consigli tecnici positivi” (e, collateralmente, critica la tecnica detta classica o ortodossa), approfondisce l’importanza dello studio del controtransfert e, in relazione ad esso, insiste ad oltranza sul valore della formazione e in particolare dell’analisi didattica; affronta tanto nella teoria come nella tecnica, i rischi traumatogeni nella cura analitica.
Luciana Bianchera, Giorgio Cavicchioli
Angoscia, apprendimento e spazi di pensiero: sostenere la speranza nelle istituzioni curanti
In questo lavoro gli autori sottolineano il valore della tutela degli spazi di pensiero e di ’apprendimento nei gruppi e nelle istituzioni con compiti di cura.
Lo schema di riferimento per la lettura delle processi istituzionali è quello della psicanalisi gruppale con particolare attenzione ai pensieri di Bleger, Pichon Rivière, Kaes e Bion. Tra gli strumenti di cura della istituzione vengono presi in considerazione la formazione gruppale e la supervisione.
Gli autori mettono in relazione la complessità del tempo attuale con la necessità di un pensiero che sappia coltivare la speranza e con essa la capacità di apprendere.
Rosamaria Salvatore
Il segreto dei suoi occhi, reti e impigli del desiderio
Il segreto dei suoi occhi (2009), di José Campanella, tratto dal romanzo omonimo di Eduardo Sacheri, è un film che può essere letto seguendo la direzione indicata da Jacques Lacan: «Il modo in cui un’opera ci tocca, e ci tocca precisamente nella maniera più profonda, vale a dire sul piano dell’inconscio, dipende dalla sua composizione, dal suo arrangiamento». Commistione di più generi – noir, commedia, melodramma- nella sua costruzione compositiva, e in particolare nelle sue pieghe, possiamo cogliere un ripetuta interrogazione sugli inciampi, sulle ferite, sulle “trappole” del desiderio. «L’opera vale per la sua organizzazione», nota Lacan, «per i piani sovrapposti che instaura, all’interno dei quali può trovare posto la dimensione propria della soggettività umana» . Seguendo tale orizzonte, si tratta allora di cogliere, nella strategia narrativa e visiva del film, punti di tensione che illuminano in maniera non comune nodi del pensiero psicoanalitico.